Ventotene, isola di contadini
La storia di una piccola isola del Tirreno con una forte vocazione per la terra. Fondali infidi e una terra fertile hanno forgiato una popolazione che per la sopravvivenza tende a fruttare le risorse del "terreno" piuttosto che quelle azzurre del "Tirreno". La storia particolare di un'isola che assieme alla vicine Ponza e Palmarola costituiscono uno scrigno di storie, di gente e paesaggi ai più sconosciuti.
Ventotene, piccola isola del Tirreno centrale, ha una struttura
geologica completamente diversa da quella della vicina Ponza e di
Palmarola.
La natura della sua terra è molto simile a quella della costa procidana e di quella ischitana. Comunque non è uniforme: nella parte più alta (punta dell’Arco) siamo in presenza di roccia vulcanica più scura e compatta con la parte superficiale definita in gergo locale “pozzolana”.
La parte più bassa, prossima al porto, ha una connotazione tufacea che si evidenzia molto bene all’ingresso del porto: la zona di “pietra tagliata”. La superficie di questo suolo è di tipo sabbioso.
Ventotene ha una storia contadina, a differenza di Ponza, isola di pescatori e marinai oltre che di agricoltori.
Sicuramente la vocazione alla terra è stata dettata da un fondale marino poco felice ma è anche vero che il suolo dell’isola ha sempre offerto tanto.
Non ha grandi dislivelli e le rocce, che caratterizzano la morfologia ponzese, sono quasi assenti.
Negli anni ’50 da Ventotene partivano bastimenti carichi di fave e lenticchie, destinate anche agli Stati Uniti.
Era pratica comune portare, anche con barche a remi e vela, i fichi d’india ad Ischia.
I Ventotenesi erano professionisti della terra che vivevano coltivando la propria isola.
Il prodotto più tipico, che si è affermato nel tempo, era ed è ancora oggi la lenticchia.
Il prezioso legume dell’isola è considerato un’eccellenza alimentare.
È un prodotto biologico ed è anche un’oasi di qualità, visto il suo totale isolamento dal resto dal mondo.
La lavorazione nei campi è fatta quasi esclusivamente a mano o, al massimo, con l’ausilio di piccoli trattori. Nessun trattamento con prodotti chimici neanche come concime. L’unico apporto dell’uomo è un po’ di stallatico.
Ventotene produce almeno 50 quintali di lenticchie all’anno.
Il raccolto è appannaggio quasi esclusivo di tre importanti produttori che, insieme, valgono almeno i tre quarti del raccolto. Una decina di altri produttori contribuiscono al resto.
Ventotene però ha anche alcune piccole nicchie di prodotti della terra che vale la pena raccontare.
Alcune famiglie dell’isola custodiscono da quattro-cinque generazioni le sementi di melanzane, pomodori, fave, piselli e fagioli.
Sono i semi di piante già coltivate agli inizi del secolo scorso e continuamente tramandate di padre in figlio come eredità, insieme alle terre.
Ad ogni nuovo raccolto venivano e vengono individuate le piante migliori con i “frutti” più sani e più grossi e li si lascia crescere “a semenza”.
Si rinuncia ad una parte del raccolto per garantirsi nel futuro qualcosa ancora migliore e più abbondante.
La conoscenza del terreno, dei climi, dell’influenza del mare e la storia dei singoli prodotti coltivati ha portato a creare diverse nicchie di eccellenza che oggi conviene considerare con occhio molto attento.
Ad esempio la coltivazione delle fave presuppone la selezione del seme “femmina” che sarà conservato per la semina.
Un baccello con solo 4-5 semi produce una fava molto grossa e dolce.
Mangiata fresca non porta quel retrogusto amarognolo, a volte poco gradevole. Secca racchiude un concentrato di sapori e carboidrati che manifestano tutta la loro bontà anche solo bollite e accompagnate con cipolla fresca, olio e sale: alcuni mettono anche l’aceto.
Roba da nuovelle cuisine!?
Le melanzane sono di un colore violaceo brillante con una buccia molto sottile e pressoché prive di semi.
In cottura, possono essere preparate senza “ammazzarle” troppo.
La stessa buccia al palato si rivela essere molto gradevole.
Il sapore è quello tipico ma proprio perché tipico e pulito si esalta al meglio con cotture leggere.
E’ un piacere unico assaggiarle appena raccolte, ridotte a striscioline e saltate in padella con un po’ di olio buono e qualche pomodoro “scummazzato”.
La coltivazione di questi prodotti è possibile grazie anche a siepi che hanno funzione frangivento e di barriera a protezione dalla salsedine: sono fatte con piante di piroforo; la foglia di questa pianta resiste al vento e agli spruzzi di mare. Col tempo ha sostituito le “cannucciate” fatte con canne dell’isola, tenute insieme con rami di pioppo, sempre dell’isola.
C’erano anche i “sarcinielli”; piccole fascine fatte con i rami della potatura delle viti. Venivano usati sia come frangivento che come parasole davanti alle abitazioni in campagna.
Prima ancora, agli albori – fine ’700 – la difesa dal vento veniva attuata con le piante di fichi d’india.
Le siepi di fichi d’India avevano anche una funzione catastale: definivano i limiti di una proprietà; nel dialetto locale venivano chiamati “limmt”.
Ventotene aveva anche una storia di vini molto importante.
Alcuni produttori dell’isola arrivavano a produrne anche duecento barili di vini; almeno diecimila litri. Venivano commerciati verso la costa napoletana.
Le famiglie Assenso e Verde sull’isola, si erano specializzati nel commercio verso la costa di questi prodotti, soprattutto per i legumi.
L’isola aveva una sua autonomia anche per quanto riguarda la produzione di carni, di latte e dei suoi derivati.
Per dirla con i tempi di oggi avrebbe un PIL in positivo.
Verso la fine degli anni ’60 questo modello felice è andato in crisi. La passione per la terra è stata abbandonata a favore del turismo.
Si guadagnava facendo meno fatica ad affittare le case anziché zappare la terra.
…E poi?
Verso la fine degli anni ’90 qualcuno ha fatto memoria del passato dell’isola e ha scoperto che un pezzo importante della sua identità stava andando a perdersi.
Piano piano sono stati ripristinati i terreni e le antiche sementi hanno ritrovato il loro giusto posto nell’economia della comunità.
Oggi Ventotene ha riscoperto il valore anche economico di quella sua storia ma ha soprattutto verificato che il “progetto isola” ha bisogno anche e soprattutto di quella identità che fa la differenza.
Sandro Vitiello
La natura della sua terra è molto simile a quella della costa procidana e di quella ischitana. Comunque non è uniforme: nella parte più alta (punta dell’Arco) siamo in presenza di roccia vulcanica più scura e compatta con la parte superficiale definita in gergo locale “pozzolana”.
La parte più bassa, prossima al porto, ha una connotazione tufacea che si evidenzia molto bene all’ingresso del porto: la zona di “pietra tagliata”. La superficie di questo suolo è di tipo sabbioso.
Ventotene ha una storia contadina, a differenza di Ponza, isola di pescatori e marinai oltre che di agricoltori.
Sicuramente la vocazione alla terra è stata dettata da un fondale marino poco felice ma è anche vero che il suolo dell’isola ha sempre offerto tanto.
Non ha grandi dislivelli e le rocce, che caratterizzano la morfologia ponzese, sono quasi assenti.
Negli anni ’50 da Ventotene partivano bastimenti carichi di fave e lenticchie, destinate anche agli Stati Uniti.
Era pratica comune portare, anche con barche a remi e vela, i fichi d’india ad Ischia.
I Ventotenesi erano professionisti della terra che vivevano coltivando la propria isola.
Il prodotto più tipico, che si è affermato nel tempo, era ed è ancora oggi la lenticchia.
Il prezioso legume dell’isola è considerato un’eccellenza alimentare.
È un prodotto biologico ed è anche un’oasi di qualità, visto il suo totale isolamento dal resto dal mondo.
La lavorazione nei campi è fatta quasi esclusivamente a mano o, al massimo, con l’ausilio di piccoli trattori. Nessun trattamento con prodotti chimici neanche come concime. L’unico apporto dell’uomo è un po’ di stallatico.
Ventotene produce almeno 50 quintali di lenticchie all’anno.
Il raccolto è appannaggio quasi esclusivo di tre importanti produttori che, insieme, valgono almeno i tre quarti del raccolto. Una decina di altri produttori contribuiscono al resto.
Ventotene però ha anche alcune piccole nicchie di prodotti della terra che vale la pena raccontare.
Alcune famiglie dell’isola custodiscono da quattro-cinque generazioni le sementi di melanzane, pomodori, fave, piselli e fagioli.
Sono i semi di piante già coltivate agli inizi del secolo scorso e continuamente tramandate di padre in figlio come eredità, insieme alle terre.
Ad ogni nuovo raccolto venivano e vengono individuate le piante migliori con i “frutti” più sani e più grossi e li si lascia crescere “a semenza”.
Si rinuncia ad una parte del raccolto per garantirsi nel futuro qualcosa ancora migliore e più abbondante.
La conoscenza del terreno, dei climi, dell’influenza del mare e la storia dei singoli prodotti coltivati ha portato a creare diverse nicchie di eccellenza che oggi conviene considerare con occhio molto attento.
Ad esempio la coltivazione delle fave presuppone la selezione del seme “femmina” che sarà conservato per la semina.
Un baccello con solo 4-5 semi produce una fava molto grossa e dolce.
Mangiata fresca non porta quel retrogusto amarognolo, a volte poco gradevole. Secca racchiude un concentrato di sapori e carboidrati che manifestano tutta la loro bontà anche solo bollite e accompagnate con cipolla fresca, olio e sale: alcuni mettono anche l’aceto.
Roba da nuovelle cuisine!?
Le melanzane sono di un colore violaceo brillante con una buccia molto sottile e pressoché prive di semi.
In cottura, possono essere preparate senza “ammazzarle” troppo.
La stessa buccia al palato si rivela essere molto gradevole.
Il sapore è quello tipico ma proprio perché tipico e pulito si esalta al meglio con cotture leggere.
E’ un piacere unico assaggiarle appena raccolte, ridotte a striscioline e saltate in padella con un po’ di olio buono e qualche pomodoro “scummazzato”.
La coltivazione di questi prodotti è possibile grazie anche a siepi che hanno funzione frangivento e di barriera a protezione dalla salsedine: sono fatte con piante di piroforo; la foglia di questa pianta resiste al vento e agli spruzzi di mare. Col tempo ha sostituito le “cannucciate” fatte con canne dell’isola, tenute insieme con rami di pioppo, sempre dell’isola.
C’erano anche i “sarcinielli”; piccole fascine fatte con i rami della potatura delle viti. Venivano usati sia come frangivento che come parasole davanti alle abitazioni in campagna.
Prima ancora, agli albori – fine ’700 – la difesa dal vento veniva attuata con le piante di fichi d’india.
Le siepi di fichi d’India avevano anche una funzione catastale: definivano i limiti di una proprietà; nel dialetto locale venivano chiamati “limmt”.
Ventotene aveva anche una storia di vini molto importante.
Alcuni produttori dell’isola arrivavano a produrne anche duecento barili di vini; almeno diecimila litri. Venivano commerciati verso la costa napoletana.
Le famiglie Assenso e Verde sull’isola, si erano specializzati nel commercio verso la costa di questi prodotti, soprattutto per i legumi.
L’isola aveva una sua autonomia anche per quanto riguarda la produzione di carni, di latte e dei suoi derivati.
Per dirla con i tempi di oggi avrebbe un PIL in positivo.
Verso la fine degli anni ’60 questo modello felice è andato in crisi. La passione per la terra è stata abbandonata a favore del turismo.
Si guadagnava facendo meno fatica ad affittare le case anziché zappare la terra.
…E poi?
Verso la fine degli anni ’90 qualcuno ha fatto memoria del passato dell’isola e ha scoperto che un pezzo importante della sua identità stava andando a perdersi.
Piano piano sono stati ripristinati i terreni e le antiche sementi hanno ritrovato il loro giusto posto nell’economia della comunità.
Oggi Ventotene ha riscoperto il valore anche economico di quella sua storia ma ha soprattutto verificato che il “progetto isola” ha bisogno anche e soprattutto di quella identità che fa la differenza.
Sandro Vitiello